lunedì 24 giugno 2013

I luoghi di costruzione navale fra archeologia ed etnologia

di Laura Peruzzi

Incontro: Storia di barche, Castiglione del Lago, 18 maggio 2013

La cantieristica navale è un argomento per molto tempo considerato secondario rispetto allo studio dei relitti, dei carichi e di tutti gli argomenti classici dell’archeologia delle acque, ed è solo da alcuni anni che le cose stanno cambiando grazie anche ad una serie di rinvenimenti archeologici (navi di Pisa San Rossore e scavo del porto di Olbia) la cui spettacolarità ha contribuito ad aumentare la sensibilità su aspetti specifici della cultura materiale e artigianale di ambito navale. Questi contesti sono infatti i primi in area mediterranea in cui si sono rinvenuti contesti fluviali o marittimi, integri, sigillati da eventi alluvionali (figura 1 e figura 2) .



- Figura 1. Navi di Pisa, fasi di scavo (immagini via Cantiere delle Navi Antiche di Pisa).

Lo studio dei luoghi di costruzione navale, cantieri e arsenali, si è basato a lungo sulle fonti archivistiche, sull’iconografia e sull’etnografia, data la quasi totale assenza di rinvenimenti archeologici in ambito italiano (questo non vale ad esempio per il Nord Europa dove esiste una tradizione di studi già consolidata e numerosi rinvenimenti). I dati d’archivio consentono di conoscere nel dettaglio l’organizzazione interna del lavoro nei cantieri, le figure coinvolte, gli aspetti legislativi, ma anche elementi tecnici come le tipologie di imbarcazioni, le misure, i committenti, l’approvvigionamento di materie prime, la dislocazione dei cantieri in un dato territorio, e talvolta ci aiutano ad avere un’idea della struttura fisica dell’edificio-cantiere.


- Figura 2. Navi di Olbia, fasi di scavo (immagini via Mare magazine).

Il dato etnografico è molto importante perché consente di farsi un’idea chiara dei metodi di lavorazione dei piccoli cantieri del passato, osservando i pochi ancora attivi, il settore è infatti caratterizzato da notevole conservatività per strumenti e tecniche (figura 3 e figura 4).


- Figura 3 (sx). Stele funeraria del "faber navalis" Publio Longidieno (particolare), Museo Nazionale di Ravenna.
- Figura 5 (dx). Squero di Venezia, il cantiere (foto L. Peruzzi, 2003).


Le fonti iconografiche ci aiutano invece principalmente nella conoscenza degli arsenali.
Il dato archeologico è invece quello più problematico, soprattutto relativamente ai piccoli cantieri privati e ancor più per le acque interne.

La parola cantiere deriva dal greco καντήλιος (grosso asino da soma) e dal latino canthērium (cavallo). In entrambi i casi il significato è legato al concetto di portare pesi, fungere da sostegno. In latino i canterii erano anche le travi di sostegno del tetto, ma anche quelle che oggi vengono variamente indicate come incavallature, cavalle, capre, capriate, da cui si dipartono le falde di un tetto, o che servono da appoggio per la costruzione di un manufatto. Il cantiere ha poi avuto una più ampia accezione di significati, tutti legati alla costruzione: cantiere è, in primo luogo, il sostegno su cui si imposta la costruzione di un’imbarcazione, o l’impalcatura che si realizza per costruire un edificio ma anche il luogo, comprensivo di strutture e attrezzature, dove si svolge la costruzione stessa (figura 5). La struttura dei cantieri privati si conosce a partire dal medioevo grazie alle fonti documentarie (le zone maggiormente meglio note sono l’area adriatica da Ravenna ad Aquileia e l’arco ligure), poco si sa di quelli precedenti. La struttura generalmente riscontrabile e più comune è molto semplice, composta da alzato ligneo impostato su fondazione in muratura, talvolta portelloni scorrevoli, tetto a doppio spiovente, rive in declivio non banchinate per facilitare il varo, operazione resa possibile anche grazie all’ausilio di rulli di scorrimento, corsie per la chiglia ricavate su una superficie in pietra o nel legno (figura 6).


- Figura 4 (sx). Jacopo de' Barbari, Veduta di Venezia, xilografia, 1500, (particolare: squero sull'isola della Giudecca - immagine digitale via Matteo Salval).
- Figura 6 (dx). Struttura di un cantiere tradizionale di Venezia (foto L.Peruzzi, 2003).


“L’arsenale è il luogo dove si costruiscono, riparano e armano le navi da guerra”. La parola è probabilmente un adattamento veneziano dell’arabo dār as-sin' ah, che significa “casa del lavoro, fabbrica”, e da cui deriva anche il termine darsena, indicante, in generale, il bacino interno di un arsenale o di un porto, collegato al mare da uno o più canali. Gli arsenali, così come i navalia romani o i νεώρια greci sono quindi legati alle flotte pubbliche e spesso le operazioni di costruzione vera e propria non avvenivano al loro interno ma nelle immediate vicinanze1. Sono complessi in cui si ritrova la ripetizione seriale e modulare della struttura del cantiere privato, si tratta infatti di numerose rimesse, comunicanti fra di loro, impostate su pilastri di mattoni reggenti una volta, hanno copertura a doppio spiovente, affacciate su una o più darsene. Sono spesso vere e proprie città nella città, protetti da una cinta muraria fortificata, ospitavano anche altre attività come la produzione di materiali accessori (cordame, vele), depositi di materiale da costruzione, produzione e stoccaggio di armi e polvere da sparo, forni, fornaci, abitazioni dei magistrati preposti al loro funzionamento (figura 7).


- Figura 7. Jacopo de' Barbari, Veduta di Venezia, xilografia, 1500, (particolare dell'arsenale - immagine digitale via Matteo Salval).

Prendendo in esame il centro Italia si possono prendere in esame pochi esempi e confrontarli con strutture talvolta molto lontane fra loro geograficamente e cronologicamente.

Pisa, arsenali repubblicani. Malgrado la millenaria storia marittima di Pisa, la città conserva poco delle sue strutture di costruzione navale medievali e nulla per quelle di epoca romana. Forse anche causa della forte instabilità idrogeologica che caratterizza l’area, le strutture cantierististiche si concentrano, almeno a partire dall’epoca medievale, in città lungo il fiume Arno.

Le fonti scritte più importanti per la storia navale di Pisa sono il De Reditu suo di Rutilio Namaziano (V sec. d.C.), il Liber Maiolichinus (XII sec.), la cronaca di Bernardo Maragone contenuta negli Annales Pisani (XII sec.), la cosiddetta Carta Pisana de Filadelfia (XI-XII sec.), i Gesta triumphalia per pisanos facta (metà XI sec.), i vari Statuti comunali. Molti documenti sono andati perduti in un grave incendio degli archivi del Comune, nel 1316, quindi la lacunosità circa gli aspetti della costruzione navale potrebbe in parte essere imputabile a questo.


- Figura 8. Veduta del recinto dell'arsenale di Pisa e degli arsenali medicei. A sinistra, a ridosso della ferrovia, le rimesse della Tersana di Pisa.

Per quanto riguarda le strutture si conserva bene tutta la cinta muraria dell’arsenale che si addossa al tratto murario urbano di metà XII secolo e le 4 torri, ma ben poco delle strutture voltate delle rimesse, fortemente danneggiate dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e dall’incendio appiccato dai cittadini stessi per impedirne l’utilizzo ai fiorentini quando nel 1406 questi ultimi conquistano la città. Dai Brevi del Comune non si ha notizia di una struttura compiuta dell’arsenale prima del 1200. Le strutture oggi visibili sono solo poche arcate, ma si sa dalle fonti che un tempo la Tersana poteva ospitare fino ad 80 rimesse, secondo la tipolgia già descrittà, di strutture voltate impostate su pilastri, e affacciate su una darsena interna. Sappiamo che la costruzione avveniva quasi totalmente all’esterno della cinta, nella zona definita come tersanie di San Vito, in corrispondenza del luogo in cui attualmente sorgono gli Arsenali Medicei (figura 8 e figura 9).


- Figura 9. Particolare delle rimesse della Tersana di Pisa (foto Daniele Napoletano).

L’area è stata recentemente oggetto di indagini archeologiche2, che hanno sostanzialmente confermato quanto già noto circa la struttura e le funzioni di rimessaggio e riparazione che vi si svolgevano, ma ci dicono di nuovo che al suo interno, a partire dal XVI secolo, si svolgevano una serie di altre attività collaterali, come il deposito di materiali da costruzione, lo stoccaggio di salnitro e di armi, l’attività di macinazione del grano e la cottura del cosiddetto biscotto (la galletta salata, base dell’alimentazione di equipaggi navali ed eserciti), ma anche la produzione dello smeriglio (pietra abrasiva per l’affilatura di armi e lisciatura delle palle di cannone) e le stalle. I dati degli scavi non sono ancora pubblicati ma già da queste informazioni possiamo dire che l’arsenale di Pisa si configura come una struttura produttiva molto più articolata di quanto finora noto, e simile all’arsenale di Venezia (che rappresenta uno degli esempi di maggiore evoluzione per questa tipologia di strutture).

- Figura 10. Il bacino esagonale del Porto di Traiano.

Navalia di Portus. La zona portuale di Portus, si sviluppa separatamente dalla vicina Ostia, sede del primo porto fluviale di Roma, con l’imperatore Claudio (nel 42 d.C. viene infatti cominciata la costruzione del grande porto marittimo artificiale, ultimata poi sotto Nerone), ma è con Traiano che si ha il maggiore sviluppo dell’area e la realizzazione del noto bacino esagonale, che aumenta notevolmente la capacità di attracco e risolve in parte i problemi legati all’insabbiamento del bacino marittimo (figura 10). Le recenti campagne di scavo, condotte dall'Università di Southampton nell’ambito del progetto Portus, hanno contribuito a chiarire molti aspetti della topografia dell’area, fra cui la natura di alcune strutture, individuate già da R. Lanciani nella metà del XIX secolo e interperatate come horrea. Si tratta di strutture individuate a ridosso del bacino esagonale e contigue al Palazzo Imperiale, di notevole imponenza, le indagini sulle fondamenta hanno infatti chiarito che il complesso nasce come un’unica struttura di 247m x58 m, suddiviso in più ambienti. Anche in questo caso sono strutture in laterizi pogginati su pilastri, probabilmente a sostegno di una volta e di copertura a doppio spiovente, è evidente la ripetizione seriale e modulare degli spazi, (come è ben evidente dalla ricostruzione grafica) in cui le rimesse vere e proprie si alternano, a gruppi di 3, ad un altro ambiente dalla funzione ancora non chiara (figura 11, figura 12 e figura 13). Lo scavo non ha restituito materiali che indichino costruzione. Il primo impianto è databile alla metà del II sec. d.C., la strutture subisce poi modificazioni intorno alla fine del II d.C., e viene suddivisa in molti ambienti di piccole dimensioni, andando probabilemente a rivestire in questa fase, quella funzione di magazzino evidenziata già da Lanciani, e protrattasi fino al VI d.C.. Ulteriore conferma della funzione di queste strutture come navalia (quindi con funzione di rimessa e riparazione degli scafi) è inoltre confermata dalla raffigurazione presente sul sesterzio di Traiano recante la dicitura PORTUM TRAIANI, databile fra 112 e 114 d.C. (figura 14).


- Figura 11. Le strutture dei navalia (immagine tratta da KEAY, An interim report on an enigmatic new trajanic building on Portus, 2012).


- Figura 12. Alzato delle strutture dei navalia di Portus (fotp PA).


- Figura 13. Ricostruzione grafica dei navalia (via Portus Project, Archaeological Computing Research Group, University of Southampton).


- Figura 14. Sesterzio, profilo di Traiano / Portum Traiani.

Porto e cantiere navale di Narnia. Il sito ubicato il località Le Mole, fra i borghi di Nera Montoro e Stifone, sul fiume Nera, deriva l’origine del toponimo attuale alle attività molitorie che si sono concentarte sul fiume almeno a partire dal medieovo (figura 15). La storiografia locale, la tradizione orale e le fonti antiche parlano più o meno direttamente della presenza di un porto fluviale sul Nera, riferibile alla colonia di Narnia3, si è quindi formata e tramandata l’idea consolidata della presenza di un porto e di un cantiere navale di una certa consistenza.


- Figura 15. Localizzazione geografica dell'area de Le Mole.

Tacito (Annales III, 9), narrando del viaggio di ritorno dalla Siria a Roma del console G. Calpurnio Pisone, dice che “A partire da Narni (…) seguì il corso del fiume Nera e poi del Tevere”.

Strabone (Geographia V, 2, 10) afferma invece che “Al di qua degli Appennini, lungo la Via Flaminia, città degne di nota sono Otricoli, in vicinanza del Tevere, Narni, attraversata dal fiume Nera, che confluisce nel Tevere poco a monte di Otricoli ed è navigabile con imbarcazioni di piccole dimensioni”, confermando sostanzialmente la navigabilità del fiume nei pressi di Narni.

Nel XVI secolo il gesuita Fulvio Cardoli ci da una collocazione spaziale dei resti del porto romano4:
"Esistono anc'oggi, in ripa a esso fiume, passato il Castel di Taizzano, un tre miglia da Narni, alcune vestigia del porto, dove alfin la Nera, dopo aver lottato, strettamente rinchiusa tra mezzo altissimi monti, contro l’impaccio degli scogli e de’ sassi del suo letto, incomincia a sostener le barche, ed ivi veggonsi pure i ferrei anelli impiombati nel vivo sasso, ai quali siccome a palo ferrato legavansi le barche".
Tale testimonianza fu poi ripresa e trascritta dal marchese G. Battista Eroli, il quale si occupò anche di far fare una ricognizione di questa porzione di riva, testimoniando quindi che alcuni resti di queste strutture erano ancora visibili nel 1879.

Nel tempo numerosi altri studiosi e appassionati si sono interessati a questi sito ed in generale alla questione del porto e del cantiere navale, e recentemente il giornalista pubblicista Christian Armadori ha raccolto in uno studio di tipo storico, i dati desumibili dalle fonti e le ipotesi interpretative susseguitesi nei secoli5, studio che costituisce un buon punto di partenza per l’analisi dell’area e la sua contestualizzazione storico geografica.

Oltre ad una serie di strutture murarie affioranti nel letto del Nera, riconosciute dagli eruditi locali come riferibili a quelle di un approdo (figura 16 e figura 17), ma la cui conformazione non consente un’interpretazione così lampante (anche per la loro vicinanza al mulino che si trova allo sbocco del canale), vi è un’opera che ha destato particolare interesse.


- Figure 16 e 17. Strutture murarie lungo il fiume Nera, interpretate come resti del porto (foto L. Peruzzi, 2012).

La struttura in questione è un canale artificiale in parte parallelo al corso del Nera, lungo 280 m, largo 16 m, di profondità incerta (in elevato di circa 4 m di altezza, ma probabilmente continua sotto un consistente deposito). Secondo una carta catastale della metà del XX secolo il canale era probabilmente in origine collegato al fiume sia a monte che a valle. La caratteristica più importante è la presenza di una serie di incavi di forma quadrangolare, a sezione triangolare (che presuppongono quindi il sostegno di elementi dal basso verso l’alto). Se ne contano 30 su ogni parete (di cui alcuni ben conservati mentre altri solamente intuibili perché molto abrasi dal tempo e dalle acque), disposti su 3 file piuttosto regolari e simmetrici sui due lati, coprono un fronte di circa 13 metri (figura 18 e figura 19). Sono proprio questi incavi che hanno favorito lo sviluppo dell’ipotesi di una struttura riferibile ad un cantiere navale. Questi incavi vengono infatti interpretati come alloggi per i sostegni lignei posti a contrasto con lo scafo in costruzione, pratica che, seppure con modalità differenti, si ritrova nella costruzione navale di epoca antica e moderna. L’apertura del canale a monte e a valle viene inoltre interpretata come la possibilità di regolare le acque e quindi poter costruire in sicurezza all’asciutto e di poter usufruire della spinta dell’acqua per facilitare il varo del natante ultimato. Si tratta naturalmente di un’ipotesi da verificare, e si deve ricordare che la zona non è mai stata oggetto di indagini archeologiche né di prospezioni, ma solo di ricognizioni (in vari momenti e per scopi diversi, una di queste effettuata da chi scrive), e di rilievo topografico delle strutture in occasione di una ripulitura della zona dalla fitta vegetazione.


- Figura 18 (sx). figura 18, Canale parallelo al fiume Nera (particolare di una foto tratta da ARMADORI, Il Porto di Narnia e il cantiere navale romano sul fiume Nera, 2012).
- Figura 19 (dx). Canale lungo il fiume Nera, particolare degli incavi nella parete (
particolare di una foto tratta da ARMADORI, Il Porto di Narnia e il cantiere navale romano sul fiume Nera, 2012).

L’obiezione principale e l’ipotesi alternativa è che si possa trattare di incavi relativi al sostegno di un ponte in legno o della centina per la realizzazione di un ponte in muratura, pare però anche in questo caso anomalo il cospicuo numero di incavi (infatti nemmeno il vicino e maestoso ponte augusteo di Narni, presenta così tanti incavi per il sostegno delle centine lignee servite per la sua costruzione) e sembra inspiegabile la necessità di costruire un ponte tanto robusto per attraversare solamente il canale e non tutto il fiume.

Non è questa la sede adatta per approfondire tesi e ipotesi contrarie o favorevoli alle varie interpretazioni, poiché prima di qualsiasi altra argomentazione, appare indispensabile un’adeguata indagine archeologica della zona, fra l’altro interessata da numerose altre testimonianze di epoca romana. Occorre comunque sottolineare la particolarità del sito, l’imponenza dell’opera idraulica realizzata la cui datazione al momento non è precisabile, e la mancanza a tutt’oggi di certezze relativamente alla struttura dei luoghi di costruzione navale antica (eccetto gli arsenali), soprattutto in aree fluviali.


- Laura Peruzzi a Palazzo della Corgna il 18 maggio 2013.

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Note:

1 Il significato stesso di νεώρια indica un “ luogo dove si ha cura delle navi”, non richiama quindi il significato di area di costruzione. Vedi Enciclopedia italiana Treccani 1949, pag.606.

2 Prospezioni, analisi gradiometriche e scavi archeologici realizzati in occasione dei lavori di sistemazione dell’area degli arsenali repubblicani per il recupero di aree per servizi al pubblico del Museo delle Navi (il museo delle Navi che ospiterà materiali e relitti del sito di San Rossore avrà sede nei vicini Arsenali Medicei). Non ci sono al momento ancora risultati pubblicati.

3 Nequinum diviene colonia romana con il nome di Narnia a partire dal 299 a.C. ed avamposto di fondamentale importanza per il controllo dell’Umbria da parte romana.

4 CARDOLI, 1862, cit. pp. 320-323.

5 Il porto di Narnia e il cantiere navale sul fiume Nera.

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7 commenti:

  1. Molto bello e interessante, davvero brava. LM

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  2. non sono in grado di valutare il rigore scientifico di questo saggio che, a mio modesto parere, pare ottimo, ma son quasi certo che in quel di Narni non apprezzeranno. Mi unisco anche io al brava di qui sopra

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  3. in che senso non apprezzeranno?

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  4. Forse intende che lì a Narni "ci tengono" alla storia del porto romano, boh

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  5. Un testo che esamina un ambito assai interessante, complimenti all'autrice.
    L.M.

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  6. Mi scuso per aver visto solo ora il suo contributo. Concordo con lei sul fatto che in archeologia si parli poco o niente del cantiere navale, ma come accennato nel suo contributo, non sono tanti i siti archeologici portuali, che ci restituiscono le tracce dei luoghi di lavoro e di manutenzione navale. Volevo ricordarle che Olbia ha restituito una testimonianza se pur piccola, di quello che abbiamo indicato come cantiere.
    le mando il link dove potrà trovare il materiale di cui brillantemente tratta nel suo testo.( http://eprints.uniss.it/9119/ )...
    la ringrazio per l'attenzione e le auguro buone ricerche.
    Virgilio Gavini

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